Via degli Dei 1/5: Nu pesce pigliato ca botta
Piccola premessa: ad accompagnare il testo ci sarebbe un breve video riassuntivo dell’intero cammino, ma ho preferito lasciarlo per l’ultimo post, in modo da non fare spoiler. Tutte le persone nominate nei vari post sono presenti nel video, tranne due. Queste due sono però presenti nelle foto sulla mia pagina Instagram, chi indovina la loro identità vince pizza e birra offerti da me :)
Seconda piccola premessa: questo post sarà lunghissimo, ho scritto i primi due paragrafi poco dopo essere tornato e mi ricordavo ogni microscopico dettaglio di ogni giornata. Tuttavia, per impegni vari ho dovuto mollare la scrittura per circa due mesi, avendo una pessima memoria, quando ho ripreso a scrivere speravo di essermi dimenticato un po’ di particolari per ridurre un la lunghezza del testo, ma ahimé mi ricordo ancora tutto in modo estremamente vivido. Mi dispiace.
Che coincidenza!
Suona la sveglia. Sono le 4:30. Ho sonno.
Fuori c’è ancora buio, ma mi faccio coraggio. Mi porto in posizione seduta per evitare di riaddormentarmi e comincio l’impresa impossibile: svegliare Bob (la mia ragazza). In maniera assolutamente inusuale, Bob si sveglia senza combattere. Con una certa lentezza ci alziamo e strisciamo verso la cucina per una colazione leggera.
Purtroppo svegliarsi ad un’ora scellerata non è l’unica difficoltà che dovrò affrontare oggi. Alle 5:39 partirà il primo treno della giornata, da Pavia verso Milano e, per quell’ora, farò bene a esserci sopra, altrimenti perderò il FrecciaRossa diretto a Bologna Centrale. Come se svegliarsi presto e dover prendere una coincidenza non bastassero, la coincidenza in questione è di appena 14 minuti. Ebbene sì, l’S13 da Pavia arriva a Rogoredo alle 6:06 e la partenza del freccia è alle 6:20. Ciò non sarebbe un problema se l’S13 non fosse sempre in ritardo. Ahimé non avevo altra scelta, con qualsiasi altra combinazioni di treni sarei arrivato troppo tardi perché, ricordiamolo, oggi dovrò affrontare la prima tappa della Via degli Dei e la salita per San Luca non vede l’ora di punire chi parte troppo tardi da Piazza Maggiore.
Sono le cinqueequalcosa, io e Bob arriviamo dietro la stazione, incredibilmente troviamo parcheggio ad appena 200 metri dall’ingresso. Strano.
Facevo bene a dubitare della mia fortuna, perché pochi secondi dopo, la lieve pioggia si intensifica. Essendo sprovvisti di ombrello arriviamo all’ingresso della stazione discretamente bagnati.
Siamo abbondantemente in anticipo, 20 minuti circa. Ci dirigiamo quindi al binario 1. Dopo una breve attesa passata a schiaffeggiare via acqua da capelli e vestiti, ci salutiamo e ci auguriamo reciprocamente buon viaggio. Tra poco meno di un’ora Bob ha un treno per Lucca, dove abita una sua amica. Ci incontreremo nuovamente a Firenze per il mio arrivo alla fine dell’ultima tappa. Quel giorno, insieme a lei, ci sarà anche mia sorella in quanto il mio compagno di avventura sarà..rullo di tamburi..Dar, mio cognato. Consiglio un giro sul suo sito per capire un po’ di che personaggio stiamo parlando.
Ore 5:39, il treno parte in orario. Incredibile. La mia ansia per la coincidenza di 14 minuti si affievolisce leggermente, forse Pantenne aveva ragione. Dovete sapere che durante le scorse settimane (coff coff mesi coff coff) ho più volte rotto le balle al povero Pantenne, assiduo frequentatore di questa tratta, in cerca di rassicurazioni sul fatto che sarei sicuramente riuscito a prendere la coincidenza e non avrei dovuto ricorrere al piano B in caso di ritardo del primo treno. Anche perché di piani B non ne avevo. Alla fine il nostro riccioluto amico è riuscito a farmi smettere di assillarlo con un convincete “vai tranquillo, è il primo treno, non fa ritardo”. Io, nel dubbio, ad ogni fermata controllo compulsivamente l’applicazione di Trenitalia per verificare se la partenza effettiva coincide con la prevista. Certosa di Pavia e Villamaggiore passano senza intoppi. Tra Pieve Emanuele e Locate Triulzi però si accumula qualche minuto di ritardo, che salirà a circa 4 minuti totali una volta arrivati a Rogoredo. Alla fine è andata bene, la stazione di Rogoredo è abbastanza piccola, con calma controllo il tabellone, mi dirigo al binario 8 e attendo il treno, un po’ scocciato dal fatto di dover aspettare. 🤡
Il treno arriva, salgo, lancio il Ferrino Finisterre 38 pagato 35€ (Vinted è una figata) sulla cappelliera e mi metto comodo, ho un tavolino da 4 tutto per me. Il viaggio è di appena un’ora. Tiro fuori il vetusto Kindle 4, leggo un po’, guardo un po’ fuori, il tempo passa velocemente. A Reggio Emilia poi salgono tre ragazze che occupano il tavolino di fianco al mio. Sono tutte e tre molto silenziose, così silenziose che entro l’arrivo a Bologna so tutto del loro weekend lungo a Roma, della loro organizzazione un po’ approssimativa delle visite alle varie attrazioni (Bob disapproverebbe fortemente) e dell’eccessivo numero di cambi di outfit che prevedono durante ogni giorno. Però quando sono salite hanno aiutato un’anziana a trovare il suo posto, quindi le perdono per il loro tono di voce fastidiosamente alto.
Non ce n’è per Nettuno
Pochi sanno che la stazione di Bologna è stata progettata da Dedalo in persona. Mi è capitato diverse volte di arrivare al binario dell’alta velocità, situato a pochi passi dal nucleo terrestre, e dover raggiungere i binari dei regionali, in superficie. Purtroppo per me queste utili esperienze pregresse sono completamente neutralizzate dalla mia memoria ridicola. Di conseguenza, una volta sceso dal treno, come un moderno Teseo mi avventuro per le scale mobili di Cnosso Centrale. Dopo aver sbagliato strada un paio di volte finalmente emergo e vedo il cielo, insolitamente azzurro. “Insolitamente” perché per oggi a Bologna danno pioggia, come anche per la tappa di domani e in parte dopodomani. Senza illudermi troppo mi dirigo al punto di incontro scelto.
Dopo una breve attesa vedo Dar arrivare e prima ancora di salutarlo noto che dal lato del suo zaino spunta un treppiede di alluminio. Soffermiamoci un secondo su questo aspetto. C’è gente che paga cifre ridicole per attrezzature ultralight, gente che addirittura sega in due lo spazzolino per limare grammi dal proprio zaino e mio cognato, che per giunta ha già percorso questo cammino un paio di anni fa e lo racconta come molto provante, si è portato non so quanti etti in più per un treppiede. È proprio un influencer. Però devo ammettere che alla fine i video sono venuti veramente bene.
Mentre camminiamo verso la statua del Nettuno di Piazza Maggiore, Dar mi rivela di conoscere bene la città, avendo frequentato l’università qui e si elegge guida ufficiale per le poche ore in cui la attraverseremo. Durante il breve tragitto mi racconta di fatti risalenti alla sua esperienza universitaria e snocciola curiosità sulla città.
Come intravediamo la statua del Nettuno, Dar comincia a pianificare il posizionamento del cavalletto per il video di rito. Purtroppo però, il punto prescelto per il posizionamento è momentaneamente occupato da un furgone bianco, da cui vediamo scendere un ragazzo con in mano un retino. A quanto pare siamo arrivati esattamente durante l’orario di pulizia della fontana alla base della statua.
Per guadagnare un po’ di tempo sperando che la manutenzione sia rapida, Dar mi trascina sotto un portico subito a lato della statua e mi dice di mettermi in un angolo ben preciso, rivolto verso il muro e molto vicino ad esso. Mi dice di non muovermi e lo sento camminare nella direzione opposta. La situazione sta diventando strana. All’improvviso lo sento parlare molto vicino a me, mi giro e lo vedo nell’angolo opposto, anche lui nella mia stessa posizione, rivolto verso il muro. Sono confuso. A quanto pare, per una serie di magie architettoniche a me sconosciute, in questa “stanza” è possibile comunicare tra angoli opposti sussurrando verso il muro. Si dice che ciò sia stato architettato nel medioevo per permettere agli appestati di confessarsi.
Finita l’esperienza, torniamo in direzione della fontana che, ovviamente, sta ancora venendo pulita, ma è troppo tardi per stare ad aspettare e procediamo alle foto e video di rito davanti alla statua.
Un santuario della Madonna
In giro non si vede nessuno zaino da trekking e Dar è un po’ in ansia perché siamo due ore in ritardo rispetto a quando è partito la prima volta qualche anno fa.
La prima tappa termina a Brento dopo 26km, circa 850m di dislivello positivo e 500 negativo. Sarò onesto, sono un po’ intimorito da quei 26km. Non ho mai fatto un’escursione oltre i 20km, soprattutto non l’ho mai dovuto fare per 5 giorni e come se non bastasse ho pure addosso uno zaino da circa 8kg + 2 di acqua.
Una volta partiti, il buon Dar inizia a raccontarmi che a brevissimo inizierà un tratto coperto da ben 666 portici, che ci accompagneranno fino al santuario della Madonna di San Luca. Io, ovviamente, non so assolutamente nulla di cosa sta dicendo, punto primo perché non sono mai stato a Bologna, punto secondo perché non ho letto NIENTE sul cammino che stiamo percorrendo, so giusto da dove parte e dove arriva (ma tra circa 10 ore scoprirò che anche quel poco che sapevo è sbagliato). Dar continua quindi a raccontare del fatto che il portico che si snoda per la città rappresenta un “serpente che termina ai piedi della Madonna” o qualcosa del genere. Mentre è intento a raccontare, vengo distratto da un distinto signore a una decina di metri da noi che, intento ad uscire da un bar, si ferma sull’uscio e ci guarda. È alto, vestito con un completo, giacca e pantalone marroni, ma soprattutto ha un’immensa barba bianca. Gli arriva a metà camicia. Siamo a pochi metri da lui quando, continuando a fissarci, apre la bocca e dice: “andate a Firenze?” “Sì” “Buon cammino”. È stato incredibile, Babbo Natale ci aveva appena parlato. Inutile dire che abbiamo passato più o meno 5 minuti esaltati a parlare di quanto è stato bello quell’incontro durato pochi istanti. Ci basta poco per essere felici, è innegabile.
Purtroppo però quest’entusiasmo dura ben poco perché dopo non molto i portici iniziano a risalire la collina. I primi gradini vengono sofferti abbastanza, ma fortunatamente non avevo idea di quanti ne mancavano. L’avessi saputo sarei tornato indietro. La salita non finisce più e come se non bastasse fa pure un caldo atroce, altro che pioggia.
Fast forward su qualche migliaio di gradini e dopo quella che è sembrata un’eternità abbiamo una visione: la croce. Siamo fradici, ma ce l’abbiamo fatta.
Arrivati in cima siamo un po’ provati, ma continuiamo ad andare avanti e scendiamo nel giardino, dove rimaniamo estasiati. Chiaramente la causa di questa estasi non è dovuta alla bellezza del santuario, ma alla sola presenza di una fontana e di qualche panchina. Più stanchi che assetati ci lanciamo su una delle panchine a fare uno spuntino, ridendo e scherzando ho fatto colazione alle 5 del mattino e inizio a percepire un certo languore. Mentre ci godiamo la meritata pausa iniziano ad apparire altri sciagurati come noi che percorrono il cammino. Per primo arriva un uomo sui 45-50 anni, molto magro, ma atletico, con un cespuglio di riccioli tenuti in alto da uno spesso elastico che gli cinge la fronte. Un individuo difficile da dimenticare, no? E qui commetto un errore imperdonabile, un errore che ripeterò decisamente troppe volte e di cui mi renderò conto solo dopo aver finito il cammino: non prestare attenzione ai compagni di viaggio. Siccome il percorso è uguale per tutti, ogni persona vista anche solo di sfuggita si ripresenterà più avanti nel cammino, fare attenzione a ricordare nomi e volti è fondamentale. Purtroppo per me, nel mio cervello avevo già delegato ogni interazione sociale a Dar per potermi concentrare sulla mia sopravvivenza fisica.
Dopo una minima interazione con questo riccioluto individuo vediamo scendere dalla scalinata 3 ragazze, allegre, anche loro rumorose, ma con certezza posso affermare che non sono le stesse del treno. Siamo molto lontani, ma anche dalla distanza vengo colpito in particolare da una di loro. Ha tatuaggi ovunque, su gambe, braccia e perfino dietro la testa, dove i capelli sono raccolti e rasati fino all’altezza delle orecchie (anch’esse tatuate, ovviamente). Hanno un’aria un po’ spaesata, ci guardano e da lontano di chiedono qualcosa. Non capiamo bene cosa, ma Dar con sicurezza risponde “si va di qua”, indicando le scale dietro di noi che portano alla parte successiva del percorso. Sebbene non abbia inteso appieno cosa ci abbiano chiesto, mi pareva di aver carpito la parola “credenziale” e credo che la stessa cosa sia successa a Dar, in quanto, mentre le ragazze si avvicinavano a noi, si corregge: “ah no, la credenziale? non lo so”. Sono le prime parole con altre persone sul cammino e già stiamo facendo delle figure. Le ragazze sorridono e, mentre fanno dietro front, il signore riccioluto, che ha assistito alla scena, le indirizza verso la parte alta del santuario.
Con la testa bassa ci dirigiamo alla fontana per rinfrescarci, facciamo un paio di foto e ci dileguiamo.
Fango.
Oltre San Luca c’è un breve tratto asfaltato che ci porta fino ad un cartello con la scritta “Via degli Dei”. Essendo il primo cartello che vediamo da quando siamo partiti, una foto è d’obbligo.
Da qui in poi la strada diventa un classico sentiero di bassa montagna, stretto e pieno di piante che ci fanno un po’ d’ombra. Della pioggia ancora nessuna traccia, anzi, il cielo è azzurro e con poche nuvole. Questo tratto è in leggera discesa, menomale, almeno possiamo riposare un po’. Dopo essere scesi dalla collina ci troviamo di nuovo in piano, ma una scelta si pone dinnanzi a noi:
- strada rossa: è la traccia “ufficiale”, costeggia il Reno sulla sponda destra, su un sentiero.
- strada blu: si attraversa il Reno e poi si prosegue parallelamente alla traccia rossa, passando però in un complesso industriale. La scelta sembra molto semplice: terra e foglie contro asfalto e cemento. Purtroppo però la strada blu esiste perché a quanto pare la rossa tende ad essere poco agibile in caso di piogge, ma come abbiamo detto, oggi, contro ogni previsione, non sta piovendo. Inoltre sarà quasi una settimana che non piove, sarà tutto asciutto pensiamo.
Prendiamo quindi la strada rossa che passa all’interno di un parco in cui stanno tagliando l’erba. Non appena ci avviciniamo ai decespugliatori Dar tira su la maglietta fino a coprire buona parte della faccia. “Sono allergico all’erba tagliata” dice. Poco male, il tratto in cui stanno tagliando il prato è breve. Ciò che non sappiamo è che il taglio dell’erba sarà una costante di ogni singolo giorno, durante ogni tappa ci sarà almeno un decespugliatore acceso per la felicità del mio compare inadatto alla sopravvivenza in spazi aperti.
Terminato il tratto erbaceo del parco ci troviamo su una strada sterrata dove incontriamo un uomo che, con non ricordo più quale scusa, attacca bottone e inizia a raccontarci della sua storia, di come la Via degli Dei l’abbia percorsa per primo lui con dei suoi conoscenti per partecipare a non ricordo bene quale manifestazione a Firenze, di come abbia fatto un film su questa avventura ecc.. Dopo un pippone di almeno 10 minuti, non sapendo se credergli o no, ci facciamo una foto con lui, lo ringraziamo e lo salutiamo. A quanto pare però il nostro saluto è stato completamente ignorato, perché il signore continua a parlare. Questi tentativi di congedo si ripetono per almeno un paio di volte. Fino a che, decisi, lo salutiamo, ci giriamo e ce ne andiamo. “Senti, aspetta” dice, e io come un fesso mi giro. Ricomincia a parlare, sta diventando abbastanza pesante. A questo punto decidiamo che siamo stanchi di vedere gente superarci, ringraziamo e salutiamo, senza mai più girarci. Una volta capito che non lo avremmo più ascoltato, tempo pochi secondi e ha già trovato delle nuove vittime.
Giusto il tempo di finire di lamentarci dell’anziano chiacchierone e il sentiero comincia a diventare più selvaggio, la strada sterrata comincia a diventare terra vera e propria e la boscaglia lascia il posto a piante basse e fitte. Passo dopo passo la terra comincia a diventare sempre più morbida fino a che non iniziamo a incontrare qualche pozzanghera. Le pozzanghere si fanno via via più grosse e il fango via via più profondo. I passi cominciano a diventare faticosi, il fango ormai arriva oltre metà scarpa, ogni volta che si prova a sollevare il piede da terra, quest’ultima oppone una certa resistenza. Il fango risucchia la scarpa così forte che inizio a temere che mi si stacchino le suole, ma questo timore viene velocemente spazzato via da uno più grande: adesso davanti a noi è tutto completamente allagato, il sentiero è almeno 20 centimetri sott’acqua e non per qualche metro, ma a perdita d’occhio.
Cominciamo quindi a spostarci a lato del sentiero, scalando salite scivolose e passando attraverso la fitta vegetazione. Talmente fitta che a tratti devo procedere camminando all’indietro, usando lo zaino come ariete per districare le piante. Rallentati dal fango, veniamo raggiunti dai Toscani, due individui particolari che ci accompagneranno per tutto questo difficile tratto. Sono due figure molto diverse. Il primo è calvo, sulla 50ina, atletico, porta un cappello in stile deserto del Sahara e periodicamente si butta a capofitto nella vegetazione, ricomparendo sul sentiero decine di metri dopo, come se nulla fosse. Il suo superpotere è trovare asparagi selvatici ogni pochi metri e con avidità papparseli tutti. Il secondo ha in comune con il primo solo la fascia d’eta, è grasso, goffo ed è stato tutto il tempo al telefono. Il loro soprannome è dovuto a una frase pronunciata con accento fortemente toscano da uno di loro “come puoi sentire dall’accento noi si torna a casa”.
Mentre siamo tutti e quattro intenti a non cadere nel fango, il sentiero inizia a diventare impercorribile. Ogni pochi minuti ci fermiamo per decidere in che direzione andare per evitare di finire inghiottiti dal fango. Proprio in questa situazione una donna ci compare alle spalle. È silenziosissima, ci saluta sottovoce e ci supera senza pudore. Ha un passo molto più veloce del nostro e sembra che sappia sempre dove mettere giù il prossimo passo. Con un solo sguardo capiamo di aver avuto tutti stessa idea: dobbiamo starle dietro, lei ci porterà fuori da questa giungla. Iniziamo praticamente a correre per riuscire a seguirla. Riusciamo a tenere il suo passo per circa 5 minuti, fino a che ci rendiamo conto di aver seminato i Toscani. All’improvviso sentiamo una voce: “Ciao! Andate a Firenze?”, ci giriamo, dietro di noi non c’è nessuno. Ci guardiamo intorno e lo vediamo arrivare dal lato, mentre sposta le piante con le mani. Non gli diamo il tempo nemmeno di presentarsi e rispondiamo che sì, stiamo andando a Firenze e che la nostra unica possibilità di arrivarci è seguire una donna che ormai vediamo a malapena. Mentre inseguiamo la nostra salvatrice ci presentiamo. Lui è Borbone, un calvo e barbuto veterinario di Napoli, è giovane, ha uno zaino non particolarmente tecnico e va in giro con una tote bag a tracolla. Ci racconta che settimana scorsa ha avuto una brutta febbre e ha deciso di partire all’ultimo. Alla domanda “dove ti fermi a dormire stasera?” risponde “eh, non so vediamo, non ho ancora prenotato niente, per sicurezza mi sono portato dietro la tenda”. Dar sbianca, noi abbiamo prenotato 6 mesi fa, letteralmente l’anno scorso. Mentre chiacchieriamo perdiamo completamente di vista il nostro punto di riferimento, ma grazie al cielo non è più necessario perché siamo finalmente usciti dal pantano e siamo su una strada asfaltata, cosa che generalmente ci farebbe storcere il naso, ma in questo momento sembra un sogno.
Ad alzare ancora di più gli animi ci compare davanti una fontanella, sotto cui ci facciamo praticamente una doccia e puliamo parzialmente le scarpe. Preso dall’euforia Dar se ne esce con “senti, ma ti posso fare un video per un mio amico mentre dici Si nu pisc pigliato ca’ bott?”. In realtà c’è un po’ più di backstory, ma mi piace immaginarlo così, come una richiesta improvvisa.
Camminiamo ancora per un bel po’, fino a che arriviamo a una panchina di legno, dove ci fermiamo a mangiare.
Borbone finisce di mangiare prima di noi e ci avvisa che avrebbe fatto un paio di telefonate per la sera. Lo guardiamo incamminarsi sul sentiero, telefono appoggiato all’orecchio, fino a che non scompare dietro una curva. Non vedremo Borbone mai più. Ad ogni persona incontrata sul percorso chiederemo se lo ha incrociato, tutti risponderanno negativamente. Se non fosse per le foto avremmo ipotizzato un’allucinazione collettiva, in fondo stiamo parlando di un individuo che nessuno ha visto, comparso nel momento del bisogno e scomparso quando le difficoltà sono passate.
Dopo una decina di minuti vediamo arrivare i Toscani e decidiamo di ripartire per lasciare loro il posto sulla panca. Stando alla traccia GPX dovremmo essere intorno a metà tappa. Da qui in poi la strada è molto meno fangosa e si procede velocemente. Superiamo diverse persone tra cui lui: Johnny. A prima vista Johnny pare un ragazzo un po’ strano, ha un cappello da pescatore e cammina in modo..particolare. Utilizza i bastoncini da trekking un po’ come fossero un girello per gli anziani, li porta contemporaneamente in avanti e poi procede, ha un passo lento e da costantemente l’impressione che stia per cedere e tornare indietro. Purtroppo oggi la nostra interazione si limiterà a un saluto quando lo superiamo, ma lo rivedremo nei prossimi giorni, a dire il vero lo rivedremo ogni singolo giorno. Non è nemmeno la prima volta che lo supereremo oggi, perché tra non molto sbaglieremo strada, torneremo indietro e lo supereremo di nuovo. Più avanti avremo modo di conoscerlo meglio.
Da qui in poi non succede molto, l’unico fatto degno di nota è l’arrivo di un uomo che ci raggiunge e Dar saluta come se l’avesse già visto. Io non ho idea di chi sia. Solo giorni dopo scoprirò che si tratta dello stesso uomo riccioluto che abbiamo incontrato la mattina a San Luca, da qui in poi soprannominato il Valdostano. Percorriamo insieme tutto il tratto finale (dove finale sta per 5-10km) chiacchierando. Ad un tratto, salita una collina, notiamo che guardando indietro si vede Bologna. Sembra lontanissima, a questo punto saremo a più di 20km dalla partenza.
Io procedo incollato al telefono, impegnato a fissare la traccia GPX, manca veramente pochissimo. Tra qualche centinaio di metri troveremo una fontana, dovremo girare a destra e in un paio di minuti al massimo saremo arrivati all’agriturismo Piccola Raieda, dove ceneremo e passeremo la notte.
Arrivati alla fatidica fontana salutiamo il Valdostano, che rimane a riposare su una panchina, lui si fermerà più avanti di noi sul percorso, sotto il monte Adone, che invece noi affronteremo domattina. Salutato il nostro riccioluto amico procediamo a una serie di round di morra cinese per decidere chi sarà il primo a fare la doccia. Giocheremo ogni giorno e oggi sarà la mia unica vittoria, con un rimontone terminato 15-11.
Le nascita delle Piccole Raiede
L’agriturismo Piccola Raieda si trova letteralmente sul sentiero della Via degli Dei. Man mano che ci avviciniamo notiamo delle persone sedute dall’altra parte della strada rispetto al cancello dell’agriturismo. All’inizio ci sembra strano, ma appena arriviamo davanti al cancello capiamo il perché: “Non si effettuano check-in prima delle 17” dichiara perentorio il cartello affisso vicino alla cassetta della posta. Sono le 16, manca un’ora. Fortunatamente una delle persone arrivate prima di noi ci fa sapere che il proprietario gli ha detto che a breve sarebbe arrivato per i check-in. Menomale.
Passato qualche minuto arriva effettivamente il padrone di casa. Il check-in sarà fatto in ordine di arrivo, dice. La prima ad avvicinarsi è Ariel, una ragazza dai capelli rossi che andrà a dormire nella stanza per saccopelisti. Dopo di lei è il turno dei fratelli Legumi, due uomini sui 40 anni che verranno da tutti sempre nominati in coppia, anteponendo sempre il titolo di fratelli al loro cognome. A un certo punto ho persino cominciato a sospettare che nessuno sapesse i loro nomi. Anche loro passeranno la notte nella stanza per saccopelisti. Infine ci presentiamo noi, che da bravi borghesi abbiamo prenotato una comodissima stanza dotata di tutti i comfort.
Effettuato il check-in, il padrone ci propone di tornare giù dopo la doccia per berci una birra tutti insieme. Come si fa a rifiutare?
Evito di raccontare delle docce, del lavaggio dei vestiti e del momento in cui realizziamo che il lucernario sul soffitto è pieno di cimici (ne abbiamo contate circa 20).
Pregustando la meritata birra scendiamo nella sala comune, dove troviamo i fratelli Legumi con Ariel. Non è arrivato ancora nessun altro, sono le 18 passate. A un certo punto compare anche il padrone, che ci porta le birre e le segna sui nostri conti, accende il camino e si ferma con noi a chiacchierare. Inizia a raccontarci di tutto, noi siamo muti ad ascoltarlo. I principali key takeaways della monolaterale conversazione sono:
- La Via degli Dei originariamente andava da Bologna a Fiesole, è stata estesa fino a Firenze per ragioni di marketing. Ci consiglia di arrivare a Fiesole e prendere un autobus (cosa che ovviamente non faremo) perché tanto da Fiesole in poi è tutto asfalto.
- La traccia rossa che abbiamo percorso stamattina è, a detta sua, una trappola mortale, l’anno scorso una donna è rimasta incastrata col piede nel fango, si è sbilanciata e si è rotta una gamba. L’elisoccorso non poteva recuperarla e i soccorritori hanno dovuto farle guadare il Reno per poterla recuperare con l’elicottero. Sostiene inoltre che la “giungla della Cambogia” dovrebbe essere del tutto rimossa dalla traccia ufficiale perché, oltre ad essere pericolosa, fa pure schifo da percorrere.
- Siamo arrivati in largo anticipo, di solito la gente arriva intorno alle 18. Addirittura un ragazzo non tanto tempo fa era arrivato alle 22, avevano provato a chiamarlo più volte, ma aveva il telefono spento. Parte così il rant contro gli sconsiderati che arrivano la mattina tardi a Bologna, proprio come noi. Però noi siamo arrivati in anticipo, quindi siamo dei fighi. Quest’ultima parte lui non l’ha detta, ma lo dico io.
A questo punto sono quasi le 19 e iniziamo ad avere un certo languore, ma la regola è che si mangia tutti assieme e finché non arriva l’ultimo non si cucina. Di lì a pochi minuti arrivano tutti gli ospiti mancanti, fra cui le tre ragazze che avevamo incontrato la mattina, da ora soprannominate le Tre Marie. Siccome non manca più nessuno ci viene detto che saremmo stati chiamati con una campana una volta pronta la cena. Approfittiamo per tornare su a controllare lo stato di asciugatura dei panni che ho appeso tra due sedie usando delle vecchie stringhe di scarpe.
Ormai decisamente affamati ci fiondiamo giù non appena sentiamo il suono della campana. I tavoli sono stati precedentemente assegnati in base alla dieta, noi, grazie a Dar, siamo nel tavolo vegetariano. Insieme a noi ci sono:
- due ragazzi tedeschi che stanno facendo parte della VDD al contrario
- le Tre Marie
- Fausto, un ragazzo con cui abbiamo parlato così poco che il soprannome che gli ho dato è completamente casuale
Da questa cena ci portiamo a casa che le Tre Marie sono super simpatiche, molto alla mano e discretamente voraci. Non hanno mai avuto neanche per un’istante quell’esitazione di quando rimane una sola bruschetta e non sai se mangiarla o lasciarla agli altri, tutt’altro, spazzolavano i piatti e facevano pure la scarpetta. Nemmeno un microgrammo di cibo è andato sprecato quella sera.
A cena finita siamo distrutti, senza farci troppi problemi voliamo tutti nelle nostre stanze a riposare, anche perché domani la sveglia sarebbe stata molto presto, almeno per noi.
E così finisce la prima giornata della mia VDD, spero di metterci meno di due mesi a scrivere il resoconto della seconda.
Pelo