È più forte Gianni o mille conglomerati?
Castello della Pietra da Vobbia
Dopo un mese e mezzo di weekend piovosi finalmente siamo stati benedetti da un fine settimana “soltanto” nuvoloso.
Come al solito ci sono voluti giorni di profonda discussione per convincere Chef a partecipare all’escursione. Alla fine siamo scesi al compromesso: niente di troppo impegnativo e guido io.
Ormai mi sono preso bene con la zona in cui si incontrano Lombardia, Piemonte e Liguria. Perché? Facile, per colpa di una traccia del famigerato Alfiere Nero che mi ha fatto innamorare di questo territorio. Quindi quando ho trovato quest’altra sua traccia ho obbligato Chef e Krum a venire con me.
Il percorso in questione parte dal piccolo comune di Vobbia e arriva al Castello della Pietra.
Il piatto dello chef
Come al solito Chef è interessato più al pranzo che all’escursione e la sera precedente alla partenza se ne esce sulla chat di gruppo con un pericolosissimo “Che dite se prendiamo qui i salumi?”, seguito da un link che porta a Salumi Torrigino Gianni, una macelleria locale con delle recensioni a dir poco stellari. Personalmente non sono troppo convinto della cosa, ma non mi andava di lamentarmi, la presenza di Chef già era un evento per niente scontato, e poi Krum sembrava d’accordo con lui.
È mattina, ci troviamo a casa mia, sono entrambi stranamente in orario. Partiamo. Grazie a Random Access Memories dei Daft Punk il viaggio vola e in poco più di un’ora siamo praticamente arrivati, ma appena prima di arrivare noto una cosa che mi sorprende: sotto ad altri cartelli stradali che indicano comuni vari c’è lui: il cartello che ci guida alla macelleria di Gianni. A questo punto ci rendiamo conto che, forse, quelle recensioni sono vere, forse stiamo davvero per comprare i salumi migliori della nostra vita.
Finalmente arriviamo nel centro di Vobbia e subito riconosco la strada che avevo visto la sera prima su Google Maps. Mi lancio a tutta birra verso la tanto bramata macelleria, parcheggio, spengo la macchina, tiro il freno a mano, giro la testa a destra e..la macelleria è chiusa.

Passano 2 ore (probabilmente erano 30 secondi, ma sono sembrati molto di più) e siamo ancora sulla macchina, immobili, in silenzio a fissare la saracinesca abbassata. Fu allora che Krum rivelò un certo nervosismo. Non avendo un piano B, ed essendo noi dei GenZ, ci lanciamo tutti sui nostri telefoni nella speranza di trovarlo. Purtroppo però non ci si può aspettare molte alternative da un comune di appena trecentosettantuno anime. Tolta la macelleria rimane giusto un ristorante, ma a quest’ora della mattina è chiuso. Giungiamo tutti alla stessa conclusione: se ci fosse stato Totti (compianto assente a causa del suo ritorno in patria per il weekend) avrebbe sicuramente trovato il modo di sfangarla.
Chef, sentendo la responsabilità delle conseguenze della sua proposta, decide che, per oggi, Totti sarà lui. Ci convince a scendere dalla macchina, avvista due delle trecentosettantuno anime (quindi più dello 0,5% della popolazione del comune) e gli corre incontro. Io e Krum ci avviciniamo per scoprire che Chef ce l’aveva fatta, aveva trovato il piano B. Una delle due anime (quindi circa lo 0,25% del paese) gli aveva indicato il Circolo Val Vobbia, una sorta di piccolo bar, dove abbiamo chiesto un paio di panini. Mentre aspettavamo il termine della preparazione vicino alla stufa, ci cade l’occhio su un menù e notiamo, subito sotto alla voce “panino”, una seconda variante dello stesso, ma con un elemento a noi completamente sconosciuto: “panino con mostardella”. Non sapendo di cosa si trattasse, facciamo l’unica mossa possibile, ne prendiamo uno da dividere. Avvisiamo la signora che stava preparando i panini di questo nostro interesse per l’ignoto ingrediente e lei ci spiega che si tratta di un particolare salume locale e che andrebbe mangiato caldo, poi ci guarda, nota l’abbigliamento da trekking e si corregge “..ma va bene anche mangiato freddo”.
Prendiamo i nostri panini, usciamo e torniamo alla macchina per mettere gli scarponi. Nel fare i 30 metri che ci separavano dalla macchina ci accorgiamo che stare vicino alla stufa è stata una pessima idea, ora fuori si gela. Per fortuna abbiamo degli scrausissimi hardshell che ci mettiamo di corsa, tiriamo su il cappuccio e finalmente si parte.
Si parte
Lasciata la macchina, attraversiamo il ponte e seguiamo la traccia fino all’inizio del sentiero, dove scopriamo che stiamo per seguire il cosiddetto “Sentiero dei Castellani”. Scopriremo poi che il sentiero è composto da sette tappe, ognuna delle quali con un nome e…no, niente, solo quello. Effettivamente in alcune tappe un cartello con un po’ di contesto non avrebbe guastato.
In poco tempo arriviamo alla prima tappa chiamata “Il poggetto”, qui il boschetto si dirada e si può accedere ad una collinetta da cui la vista è fantastica.
Davanti a noi le nuvole separano le montagne dal cielo azzurro (come non vedevamo da un bel po’).

A sinistra una vista sul torrente Vobbia e sull’omonimo paese.

Procediamo e dopo poco ci troviamo ad un bivio, controlliamo la traccia. A destra si sale alla Sella Bricchetto, a sinistra si continua verso la prossima tappa del sentiero. Chef ci guarda, capiamo, me ne esco con un “vabbé andiamo avanti, poi magari se abbiamo tempo tornando saliamo”. Allerta spoiler: non torneremo mai.

Andiamo avanti macinando tappe, alcune un po’ insignificanti, altre dai nomi un po’ ovvi (sto guardando voi “Il bosco misto” e “La zona umida”), ma le mie preferite sono la prima e “Il Canyon della Val Vobbia”. Quest’ultima mi è piaciuta così tanto che non le ho fatto nemmeno una foto; vorrà dire che dovrò tornare.
Superata la zona umida raggiungiamo un paio di curve, superate anche queste, tra i rami secchi, lo intravediamo: ecco il Castello di Pietra.

Ci fermiamo un po’ ad ammirarlo e cominciamo a farci domande del livello di “quanto sarà grande?”, “ci faranno dei concerti dentro?”, “hanno costruito il castello in mezzo al conglomerato o ce lo hanno portato dopo?”.
Dopo aver detto un po’ di cazzate iniziamo a preoccuparci di dove fermarci a gustare la mostardella. Decidiamo di scendere verso la strada, continuando sulla traccia, forti della nostra conoscenza delle zone picnic grazie ai marcatori di OpenStreetMap. Arriviamo finalmente alla famigerata zona picnic e subito ci si pone davanti una scelta: ci sono due tavoli, uno classico, senza anima, fatto di assi di legno; l’altro, vero, autentico, fatto di piccoli tronchi inchiodati tra loro e ricoperto di verdissimo muschio. Non avremmo mai potuto tradire il muschio, proprio colui che ci ha accompagnato per tutto il tragitto fino a lì. La scelta è obbligata, ci sediamo e tiriamo fuori i panini. In tempo zero i panini vengono spazzolati. La mostardella è stata apprezzata, ma calda probabilmente sarebbe stata meglio. A questo punto Krum fa una mossa inaspettata e con fare da spacciatore mette una mano nella tasca esterna dello zaino. Ghignando ci offre uno strano Mars balcanico che si è portato dietro dal viaggio in Bosnia che abbiamo fatto un mese prima. Questi “dolci” erano stati lasciati sui vari cuscini della casa dalla proprietaria dell’appartamento che avevamo preso quel weekend. Io lo avevo già mangiato a Sarajevo e, memore dell’esperienza, declino educatamente. Chef, che non lo aveva provato (e non solo, il simil-Mars che avevamo davanti era proprio il suo. Dal Mars balcanico non si scappa) ci casca e ne mangia metà. Seguono 2 minuti di silenzio a causa delle loro bocche impastate, intente a liberare i denti da quell’ammasso appiccicoso.

Il ritorno
Terminato il pranzo ci alziamo e decidiamo sul da farsi. Le opzioni sono due: seguire la traccia e tornare passando per la strada asfaltata, la stessa che abbiamo fatto in auto per arrivare, oppure tornare indietro sul sentiero. Chef ci fissa con il suo sguardo da pazzo omicida e, senza mai sbattere le palpebre, ci avvisa: “io su non ci torno”. Seguono un paio di minuti in cui tentiamo di convincerlo, ma senza successo da parte nostra e senza sbattimento di palpebre da parte sua. Decidiamo di assecondarlo e andiamo giù verso la strada asfaltata, dove restiamo ammaliati dalla perfezione di quel liscissimo strato bituminoso, praticamente un tavolo da biliardo. Una volta finita la magia dovuta all’eccezionale visione di un asfalto senza crateri, ci rendiamo conto che la strada è tutta curve e, per il rumore del torrente Vobbia che stiamo costeggiando, non si sente molto bene l’arrivo delle auto. Per nostra fortuna però di auto ne passano quattro in totale. Tutto è bene cio che finisce bene.
Dopo un tragitto che è sembrato brevissimo a causa del passo veloce sull’asfalto, arriviamo di nuovo in paese.
Qui decidiamo di tornare bambini e scendiamo sul letto del torrente Vobbia a praticare le seguenti discipline olimpiche:
- Lancio del sasso piatto sul torrente
- Costruzione di dighe
- Esplosione del sasso in seguito ad impatto contro una pietra più grossa

Ovviamente questi sport li ho vinti tutti, per lo meno secondo le regole che mi ero inventato e che non ho spiegato agli altri.
Non avremo trovato l’Alfiere Nero, ma tutto sommato è stata una bellissima giornata :)
PS: per dovere di cronaca riporto che durante il viaggio di ritorno in auto, Chef ha dormito sdraiato sui sedili posteriori.
Pelo